Il burocratese (o antilingua)

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“Il brigadiere è davanti alla macchina da scrivere. L’interrogato, seduto davanti a lui, risponde alle domande un po’ balbettando, ma attento a dire tutto quel che ha da dire nel modo più preciso e senza una parola di troppo: «Stamattina presto andavo in cantina ad accendere la stufa e ho trovato tutti quei fiaschi di vino dietro la cassa del carbone. Ne ho preso uno per bermelo a cena. Non ne sapevo niente che la bottiglieria di sopra era stata scassinata».

Impassibile, il brigadiere batte veloce sui tasti la sua fedele trascrizione: «Il sottoscritto, essendosi recato nelle prime ore antimeridiane nei locali dello scantinato per eseguire l’avviamento dell’impianto termico, dichiara d’essere casualmente incorso nel rinvenimento di un quantitativo di prodotti vinicoli, situati in posizione retrostante al recipiente adibito al contenimento del combustibile, e di aver effettuato l’asportazione di uno dei detti articoli nell’intento di consumarlo durante il pasto pomeridiano, non essendo a conoscenza dell’avvenuta effrazione dell’esercizio soprastante».”

L’Antilingua, I. Calvino, “Il Giorno”, 1965

Quello di Calvino è un esempio classico e (ahimè) fin troppo comune di ciò che accade alla nostra povera lingua quando entra nelle mani di gente che sembra vivere fuori dal mondo. L’antilingua, introdotta più di cinquant’anni fa, è meglio nota a noi come burocratese, ovvero un “linguaggio inutilmente complicato ed ermetico in uso nella pubblica amministrazione”, come direbbe la Treccani.

Possiamo considerare questo linguaggio burocratico quasi una vera e propria lingua, con le sue formule e una sua sintassi, che si basa fondamentalmente sul principio di non far capire quasi nulla al proprio interlocutore. Questo muro che rende l’informazione sempre più lontana si crea attraverso semplici regole:

  • Due parole sono meglio di una: perché dire “azioni” se possiamo dire “il compimento di attività”? Non dobbiamo essere tirchi.
  • La parola rara: se per esprimere una stessa nozione, con lo stesso grado contestuale di precisione, esistono due parole, una comune e una più rara, il burocratese userà quella più rara (solo raramente è spinto dalla necessità di essere specifici).
  • Mai seguire una strada dritta e breve quando se ne possono seguire almeno quattro storte e lunghe (molte subordinate, per capirci).
  • Un uso abbondante del participio presente e il gerundio (“non essendo a conoscenza...”), di nominalizzazioni (rinvenimento, asportazione…) e d’incisi.
  • Spersonalizzazioni: dall’impersonale (“si chiede …”, “con la presente si comunica che…”), al passivo (“la Sua richiesta è stata respinta”).
  • Uso di parole, verbi fraseologici e connettivi arcaici, e qui chi più ne ha più ne metta: altresì, allorquando, ivi, essere a conoscenza, istanza, locale sito, titolo di viaggio, ecc…

A questo punto cosa può fare un povero italiano medio, che si ritrova magari a dover leggere e ad avere a che fare con documenti che a mala pena comprende?
Una soluzione è stata l’introduzione di una norma, contenuta nel Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 10 aprile 2001 e che imponeva ai funzionari di utilizzare un linguaggio quanto più chiaro e comprensibile a tutti (o quanto meno al pubblico a cui si stava rivolgendo). Erano stati addirittura promessi una task force di esperti con un numero di telefono “sos lingua” e la predisposizione di modelli prestampati di chiarezza.
Tuttavia ora tutto questo non è più d’obbligo dal 2013.

Una buona notizia però c’è: in rete è appena nato un nuovo strumento per aiutare i cittadini a decifrare il burocratese. Si tratta de L’Antiburocratese, una nuova rubrica inaugurata dall’Osservatorio della Lingua, diretto da Massimo Arcangeli della casa editrice Zanichelli. Lo scopo è quello di spiegare a chiunque, con parole semplici e comprensibili, i termini più astrusi e aggrovigliati con cui abbiamo a che fare tutti i giorni.

Questo chiaro esempio di comunicazione che diventa non comunicazione ci fa capire come sia importante l’uso di linguaggi che ci permettono di essere comprensibili. Utilizzare termini estranei o distanti dall’interlocutore è un modo per porsi in uno stato di superiorità, come se si guardasse tutto dall’alto, e questo ci allontana dalla realtà.
Ricordiamoci che comunicare non è una gara, ma uno scambio tra pari.

Giulia

PS: Piccolo promemoria.

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